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La società guerriera dei Lupi

Aggiornamento: 11 gen 2022

Ogni attività commerciale deve, per forza di cose, registrare le proprie entrate, annotare le uscite, soprattutto le spese per i compensi dei collaboratori, e calcolare con regolarità i profitti dei soci. Oggi esiste la figura professionale del commercialista per gestire questi aspetti, in epoca medievale era un notaio -termine generico che racchiudeva in sé molte più accezioni di oggi- a tenere la contabilità. Seguire le tracce degli atti notarili, dunque, aiuta a comprendere la complessa quotidianità di uomini distanti da noi secoli.

Spulciando come un segugio note bibliografiche e vecchi cataloghi polverosi ho scoperto l'esistenza di un registro di imbreviature, redatto fra il 1237 e il 1244 dal notaio piacentino Rufino de Rizzardo. In esso sono contenuti i dati di una società molto particolare, e MOLTO interessante: la Societas Luporum, una compagnia di cavalieri nella Piacenza del Duecento.



Prima di proseguire sulle tracce dei nostri "lupi" dobbiamo tenere presente che con il termine societas, nel periodo del nostro Rufino, si intendeva grossomodo -e in maniera direi omogenea in tutta l'Europa cristiana- un gruppo di individui legati fra loro da interessi comuni, per tutelare i quali si dotavano di regole ben precise. Si inserivano, nel diritto medievale, come forma giuridica atta a rappresentare un singolo ente, costituito da più voci, nei confronti delle autorità locali o più lontane che fossero. Se vogliamo fare un parallelo più che a un'attuale società per azioni somigliavano a una moderna associazione di liberi professionisti.


Il primo documento attestante la Societas Luporum è del 1241, redatto sotto il governo cittadino del podestà Guilfrido da Pioravano. In esso si fa riferimento a fatti avvenuti due anni prima, nel 1239. In quell'anno i Lupi avevano preso parte, non sappiamo se per loro iniziativa, a una cavalcata, una spedizione militare volta al guasto e al saccheggio. Un blitz da guastatori insomma, caratteristico della guerra nel medioevo: un mordi e fuggi che poteva essere molto proficuo per chi lo metteva in atto e allo stesso tempo arrecare sostanziali danni materiali e psicologici al nemico. In questo caso non sappiamo per quale motivo la Societas sia stata condannata, i giudici li accusano di aver arrecato danno e di essersi arricchiti -senza autorizzazione, aggiungo io- "illi qui fuerunt in cavalcata fuerunt ad proficuum et damnum" (doc 540 p.435). Non sappiamo quale sia l'esito di questo procedimento, quasi sicuramente la questione si risolse con un indennizzo economico alla parte "lesa" dato che i Lupi continuarono a operare per i successivi trentanni.



La struttura dell'organizzazione è semplice ma allo stesso tempo affascinante. la guida spettava a un potestas societatis, scelto fra i milites superstantes (superiori), che divenivano poi suoi luogotenenti. Di questa cerchia superiore, l'inner circle della società, conosciamo alcuni nomi.

Raimondus de Fontana, Albericus de Malavicino, Azo e Egidius de Arcellis, sono nomi altisonanti, appartenenti alle grandi famiglie capitaneali vicine, quindi, alle curia vescovile (e non è difficile immaginarne i vantaggi)

C'è poi Alberico de Andito, podestà nel 1251, del quale conosciamo la provenienza dalla milizia del contado e non della cerchia di mura di Piacenza. Albericus de Spettine e Nicolaus Vicedomini fili Rainaldi, entrambi superstantes, ma dalle origini oscure.

Infine, ma solo per motivi di sintesi, il più citato fra tutti nei documenti dell'epoca: Guglielmo Scalferio. Questi appare più volte come potestas, nonostante abbia origini ben più umili rispetto ai nomi citati in precedenza. Una simile "carriera" è indice di una certa meritocrazia all'interno della congrega guerriera. Scalferio ha ramificate conoscenze e lo si trova soprattutto quando la congrega deve trattare i riscatti per i prigionieri presi.


A. Zaninoni Il registro di imbreviature di Rufino de Rizzardo, Milano, 1983

La banda dei Lupi ebbe un ciclo vitale intensissimo fra il 1239 e il 1251. In quegli anni re Enzo, figlio di Federico II, opera come Sacri Imperii totius Italiae legatus generalis e non c'è che l'imbarazzo della scelta per milites come i Lupi. Su 257 atti 69 interessano lo scambio di prigionieri e i riscatti e un centinaio i risarcimenti per i soci della società dei danni subiti nel corso delle spedizioni: cavalli, armi e collaboratori. Tutto ha un prezzo e tutto può essere, se c'è disponibilità, ripagato. Nei documenti si fa spesso cenno a non meglio specificati seguaci, il cui valore è molto più basso dei milites che invece vengono citati per nome. Sono sicuro che siano fanti e specialisti (balestrieri, per esempio) che ingrossavano le fila dei Lupi e ne sostenevano le azioni più intense.



Ma cosa facevano, di preciso, questi guerrieri così riuniti? E, soprattutto, perché sentirono l'esigenza di creare ex novo associazioni che in qualche modo superassero i limiti delle masnade padronali -ancora ben presenti- e la milizia comunale in quegli anni già ben strutturata?


La risposta, o la più plausibile fra le molte possibili, è tutta negli atti del notaio Rufino. Anzitutto appare chiaro che queste compagnie di cavalieri nascevano da esigenze connaturate alla continuità delle tensioni fra Comuni. Si viveva in uno stato di guerra costante: fra città, fra città e campagna, fra quartieri e fra partiti politici. I signori legati da vincoli feudali e di vassallaggio non avevano la libertà che poteva avere un Guglielmo Scalferio alla testa di cavalieri slegati da vincoli di parentela e alleanze. Essi combattevano e guadagnavano scegliendo di volta in volta il proprio schieramento (e come abbiamo visto dal processo del 1241 anche agendo di propria iniziativa). Erano una sorta di mercenari, ma meno itineranti di quelli che appariranno sulla scena un secolo dopo. Forse è più corretto immaginarli come un'impresa di polizia privata, legata al territorio nel quale essa si trova, ma non a un particolare potere pubblico o privato.


Nel corso degli anni di attività i Lupi subirono perdite -cavalli, materiali, seguaci- che vennero ripagate attraverso i conteggi di esperti extimatores, ossia personale edotto nel quantificare il valore di qualsiasi cosa. La societas era una forma di protezione, un'assicurazione.


Castell'Arquato, Piacenza.

Abbiamo notizia di due custodes carceratorum, Alberto e Maxello, stando al documento numero 1 del febbraio 1242, pagati dalla cassa comune per gestire il carcere privato della società. Perché i prigionieri, con i riscatti che potevano fruttare, erano il vero business. Ecco quindi che le conoscenze dei singoli membri divenivano fondamentali per intavolare le trattative con le famiglie dei catturati e strappare i migliori prezzi, e ovviamente viceversa nel caso in cui fosse uno dei Lupi a cadere nelle mani del nemico.


Ecco qui, sempre dal testo della Zaninoni, citato il carcere. Inoltre qualche prezzo: l. sono Lire e s. Solidi (soldi)

In caso di maltempo doppia paga...

Gli appartenenti vengono definiti MILITES. I soci erano tutti, nessuno escluso, combattenti professionisti dotati di capacità, armamento e propensione alla guerra. Un normale signore non sempre poteva disporre di un numero discreto di combattenti e alleati di immediato utilizzo e così la societas ovviava a questo problema. "Ti danno noie i vicini? Ci pensiamo noi, basta che paghi"


Una straordinaria realtà ben più diffusa di quanto si possa pensare e che analizzerò con future pubblicazioni.

Un'avventura storica nel cuore del Medioevo!



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