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La tripartizione medievale del mondo. Chi prega, chi combatte, chi lavora.

Aggiornamento: 7 set 2021


"[…] Perciò la città di Dio che si crede essere una è divisa in tre: certuni pregano, altri combattono, e gli altri lavorano. Questi tre ordini vivono insieme e non possono essere separati; il servizio di uno solo permette le azioni degli altri due; con alterne vicende si aiutano." (Adalbero Laudonensis, Carmen ad Rodbertum Regem,)


Adalberon de Laon spiegava così al suo re, Roberto II il Pio, la forma e la sostanza della realizzazione divina in terra. Utilizzò un poema in forma di dialogo. Il componimento, giunto fino a noi, ha influenzato non poco la nostra visione di un'intera epoca. Se avete sentito parlare almeno una volta di questa ripartizione dell'umanità, nel medioevo, lo dovete proprio al buon Adalberon.

Miniatura del 1530 da manoscritto veneziano. Anche se disegnata fuori tempo per essere medievale rende chiara l'idea della triplice ripartizione degli uomini secondo la volontà di Dio.

Quella dei tre ordini secondo cui tutti gli uomini medievali erano divisi, o si sentissero divisi, è, a tutti gli effetti, uno dei concetti più caratterizzanti di quell'epoca; un po' come i pantaloni a zampa di elefante sono indissolubilmente legati agli anni '70. 


Tre insiemi che racchiudevano l'intera Cristianità, niente di più semplice, niente di più ordinato: chi pregava, chi combatteva e chi lavorava.


In realtà non era proprio così lineare, la faccenda. E ben diversa era la quotidianità oltre le belle parole di Adalberon dedicate al re . Gli oratores non si accontentavano sempre del solo compito di salvare le anime di tutti quanti. La posizione privilegiata degli oratores, vicini a Dio e interpreti/latori della sua volontà, convinse più di un membro della chiesa che il diritto di mettere bocca su tutto facesse parte della divina missione. Il Papa e i vescovi consigliavano, vietavano, giudicavano, accoglievano e bandivano, indicando con veemenza i nemici della Pace, e questo non era prerogativa esclusiva degli alti papaveri, perché anche i pretucoli di campagna avevano di queste pretese (meno ascoltati, ovviamente). Ingerenti e mondani, erano davvero pochi i veri appartenenti agli oratores dediti solo alla preghiera. Tutti gli altri si spendevano nel mondo ma non per esso, guadagnavano, si arricchivano, ottenendo potere temporale e vivendo al pari degli altri uomini nello stesso peccato che condannavano durante i sermoni.


I bellatores, poi, raramente fecero la guerra per proteggere gli altri due ordini. Per lo più combatterono per i propri scopi ma c'è anche un'altra questione da non dimenticare: il potere secolare imponeva l'ordine, facendo stare a capo chino il resto del popolo dinnanzi alla "legge". Ma quale? In teoria quella di Dio, con spruzzate di consuetudini e rimandi più o meno precisi ai romani -e già, se ci pensate, utilizzare la Bibbia come vademecum legale non è proprio il massimo- nella realtà però andava anche peggio, era la loro legge quella essi che tutelavano, modellata sulle loro esigenze e difficilmente contrastata. E infatti soprusi e violenze furono all'ordine del giorno; chiaro, non dobbiamo fare l'errore di esagerare immaginando l'età di mezzo come un enorme girone infernale a cielo aperto, ma se gli unici che sanno combattere sono anche gli unici a garantire giustizia non occorre un grandissimo sforzo di immaginazione per comprendere che, alla faccia dei "consiglieri" del primo ordine (che anzi molto spesso benedicono se c'è da trarne vantaggio), le cose venivano gestite a loro grande vantaggio.

Il violento braccio della legge di Eastwood impallidirebbe di fronte a un'azione di "polizia" del XIII secolo

E gli ultimi? I servi, i laboratores che come miti pecorelle coltivavano e allevavano animali per le pance e i vestiti di tutti, pensate che si adeguassero senza fiatare alla posizione subordinata nella quale venivano tenuti? Erano ben disciplinati, inquadrati, ubbidienti? Certo che no. Gli ultimi si ingegnarono: alcuni colti da improvvisa intuizione, con due sacchi di grano sulle spalle -frutto di un fortuito quanto raro attivo sul raccolto, si diressero verso una città di cui era giunta notizia essere afflitta da carestia, scoprendo che si poteva vivere da mercanti, e non solo sopravvivere da contadini. All'inizio veri e propri avventurieri armati fino ai denti, non certo innocui trasportatori di merci, con metodo e capacità imprenditoriali alcuni di essi fondarono dinastie mercantili di enorme prestigio e ricchezza. Altri, non meno intraprendenti, si spostavano in cerca di un futuro migliore. Colonizzavano, parola che sembra appartenere alla storia solo in funzione romana (classica) e poi successiva alla scoperta delle Americhe, quando invece ha ben diritto di essere annoverata fra i termini necessari agli studi di antropologia medievale; l'idea di un medioevo assolutamente statico è errata e fuorviante. Viaggiavano dunque, a dispetto dell'ordine costituito che li voleva legati alla terra a vita. Abbiamo testimonianza di questi esodi dalle numerose iniziative volte da una parte a punire i contadini che lasciavano senza permesso la terra nella quale risiedono, dall'altra – perché a un signore fa comodo che altrui lavoratori giungano nei suoi possedimenti – ci si prodigava (per esempio i Liberi Comuni) per mostrare i vantaggi di una nuova sistemazione, magari offrendo in enfiteusi scontata un bi-locale con riscaldamento animale integrato, completo di tetto ben impiastrato di letame. E se proprio si voleva essere generosi, aggiungendo anche un camino!


In fondo Adalberon parlava di una società ideale, perfetta, ben lungi dall'essersi realizzata nel suo tempo (e che oltretutto mai lo sarà). Si rivolgeva al re indicando la migliore delle soluzioni possibili, un'utopia. Cosa chiederemmo, se dovessimo scrivere un poema per le nostre istituzioni? Qualcosa che non abbiamo. Questo lo spirito dello scritto di Adalberon, far notare il disegno della Provvidenza, renderlo evidente perché ancora invisibile, così che gli uomini investiti di un potere, il re, possano realizzarlo. 



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