Processi agli animali nel Medioevo: casi reali e condanne assurde
- Giovanni Melappioni
- 3 giorni fa
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C’è stato un tempo – e non parlo di fiabe o allegorie – in cui gli animali finivano davvero alla sbarra. Non metaforicamente, proprio in tribunale. Con tanto di processo istruito con tutti i crismi tra cui testimoni, sentenze e, in alcuni casi, avvocati difensori che si rompevano la testa per salvarli. Esemplare, ve lo racconto più sotto, la difesa di un branco di topi.
Non ci troviamo di fronte a uno sketch di Monty Python: tra il IX e il XVII secolo, i processi agli animali furono una cosa seria, per quanto inquietante e difficile da comprendere con il giusto distacco.

Api assassine e lumache recidive
Ecco qualche caso concreto
864, Worms (Germania): un uomo muore per una puntura d’ape. Il verdetto? Condanna a morte dell’intero alveare. I giudici ordinarono di soffocare con il fumo tutte le api colpevoli.
1595, Leiden (Olanda): un cane morde un bambino. Il piccolo muore e il cane viene impiccato, mentre i suoi “beni” – probabilmente una cuccia o una ciotola – confiscati.
1587, Saint-Julie (Francia): durante un’invasione di coleotteri, si discute se scomunicare gli insetti.
Autun (Francia): un gruppo di lumache viene bandito per aver divorato i raccolti. E no, non c’è ironia: le si ammonì pubblicamente e con solennità. E quando il problema, chiaramente, si ripresentò si aprì un dibattito processuale per il quale spicca la nota sulla recidiva degli imputati!
E il caso forse più famoso avviene nel nord della Francia, quando una scrofa fu torturata e impiccata per aver ucciso un bambino in fasce. Una crudeltà inumana, diremmo oggi, ma tutto doveva apparire esemplare. La giustizia medievale non era clemente. Né per gli uomini, né per i maiali.

Ma perché istruire processi agli animali?
Questo è il punto interessante.
Queste sentenze non nascevano da ignoranza, ma da una visione del mondo coerente e ordinata. Il creato aveva una gerarchia precisa: l’uomo sopra, gli animali sotto. Quando un animale “violava” il suo posto – uccidendo un essere umano, rovinando i raccolti, comportandosi in modo “innaturale” – si rompeva un equilibrio sacro. E il tribunale diventava lo strumento per rimettere le cose al loro posto.
I processi servivano a ristabilire l’ordine. Erano riti legali, religiosi e politici allo stesso tempo. In un’epoca in cui Dio non era un’opinione personale ma un dato strutturale della realtà, la legge rifletteva il cosmo. Punire un animale significava riparare una frattura nel disegno divino.
I topi e l’avvocato furbo
Uno dei casi più gustosi è quello del giurista francese Barthélemy Chasseneux, nel Cinquecento. Venne incaricato di difendere in tribunale una colonia di topi, accusata di aver devastato dei campi coltivati. L’udienza fu convocata, ma i topi – prevedibilmente – non si presentarono.
Chasseneux allora, con un capolavoro di oratoria, sostenne che i suoi clienti non potevano comparire in aula perché la strada era pericolosa, piena di trappole e gatti ostili. Il giudice, colpito dalla linea difensiva, assolse i roditori. E l’avvocato divenne celebre.
Più “robot” che animali
Un’altra osservazione interessante che emerge dall’articolo è che gli animali, per la mentalità medievale, erano visti un po’ come automi. Macchine perfette costruite da Dio. Dovevano funzionare secondo le regole scritte nel “manuale del creatore”. Se uno “si guastava” – per esempio uccidendo un uomo o distruggendo un campo – era un problema, come un ingranaggio rotto nel grande orologio del mondo.
Forse anche per questo, i nobili dell’epoca erano affascinati dagli automi meccanici: uccelli artificiali che cantavano, scimmie finte che si muovevano come vere, fontane animate. Nel parco di Vieil-Hesdin, nella Borgogna del XV secolo, gli animali robot erano attrazioni di corte. Perché imitavano la natura, sì, ma anche perché ne mostravano il controllo umano.

Forse non dovremmo ridere troppo degli uomini medievali.
Vero, impiccavano i maiali, bandivano lumache e uccidevano interi alveari ma noi "moderni" alleviamo miliardi di animali in capannoni industriali, li mutiliamo, li uccidiamo a ritmi da catena di montaggio, li culliamo con musichette mentre li avveleniamo di antibiotici. E tutto questo lo facciamo di nascosto, lontano dagli occhi, dietro la barriera delle etichette. ATTENZIONE, non è una critica animalista la mia, perché le necessità di una popolazione di quasi 10 miliardi di individui hanno comportato tutta questa aberrante trasformazione nell'allevamento e gestione degli animali da macello. Quel che mi preme è che ogni epoca ha le sue caratteristiche, le sue dinamiche e le sue, sufficienti o meno spetta alla coscienza individuale stabilirlo, giustificazioni.
Nel Medioevo la morte animale era pubblica, parte della vita quotidiana, esemplare e trucolenta, terribile, chiaramente per noi moderni ingiusta e sanguinaria senza apparente motivo. Oggi è silenziosa, tecnocratica, delegata al sistema tanto che qualche bambino, in maniera del tutto spontanea, crede che il petto di pollo nasca direttamente in vaschetta.
SE AMI IL MEDIOEVO, NONPUOI PERDERE LA SAGA CAVALLERESCA DI GUIBERT,
IL CAVALIERE ERRANTE
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