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Immagine del redattoreGiovanni Melappioni

La battaglia di Lechfeld, la fine della minaccia magiara


 

A fine giugno del 955 d.C. un’orda di guerrieri provenienti dal bacino dei Carpazi si stava radunando ai margini orientali del territorio dell’attuale Baviera, pronta a lanciare l’ennesima, devastante incursione verso il regno dei Franchi orientali. I Magiari, che per quasi un millennio avevano spostato i loro passi verso ovest dalla loro patria oltre gli Urali, nelle remote terre dell'Asia centrale, si erano insediati nelle steppe che costeggiavano l'Europa occidentale. Ora, accampati in massa lungo la riva orientale del fiume Enns, attendevano il momento di gettarsi sulle dolci colline per saccheggiare e razziare i villaggi e le fattorie indifese.

 

Gli abitanti della regione, presi dal panico, abbandonarono le case e i campi, portando con sé i beni essenziali, per cercare rifugio nelle città fortificate o nelle roccaforti sparse in tutto il ducato bavarese. L'unica speranza era il re sassone Ottone, un sovrano di 43 anni la cui spada si era già macchiata più volte del sangue dei Magiari, degli Slavi e dei ribelli che minacciavano il suo regno.

 



Una minaccia senza fine

 

L’imminente invasione era la naturale prosecuzione di quella dell’anno precedente. Nel 954 migliaia di arcieri a cavallo avevano devastato il regno dei Franchi orientali durante una grande incursione che li aveva portati attraverso la Baviera, la Svevia, la Franconia, la Bassa Lorena, la Borgogna, e infine nuovamente nel bacino dei Carpazi, passando per la Lombardia. Sebbene l'incursione fosse ricordata per la sua estensione e durata, non aveva fruttato ai Magiari abbastanza bottino per sostenere il loro stile di vita, né aveva suscitato abbastanza terrore da costringere le popolazioni saccheggiate a pagare tributi sufficienti per la propria incolumità.

 

Nel frattempo, Ottone uscito vincitore da una guerra civile di due anni contro dei nobili ribelli era pronto per affrontare la grande nemesi del suo regno. A sud, uno dei suoi più fedeli alleati, il vescovo Ulrico di Augusta, sovrintendeva ai lavori di rafforzamento delle mura cittadine in previsione di un nuovo attacco magiaro. A nord-est, Corrado il Rosso, duca di Lorena e uno dei nobili che aveva cospirato con Ottone, si era riconciliato con il re e stava preparando un contingente di mille cavalieri pesanti in Franconia per bloccare una delle rotte d’invasione preferite dai Magiari. A est, il duca Boleslav di Boemia, un altro alleato di Ottone, aveva mobilitato duemila uomini, pronti a marciare in aiuto dei tedeschi.

 

In tutta la Baviera, le truppe locali, fedeli a Ottone presidiavano dozzine di forti e castelli posizionati nei principali punti di attraversamento lungo gli affluenti della riva destra del Danubio, in attesa dell’assalto. Ottone aveva un piano: aveva organizzato una strategia di difesa in profondità, progettata per rallentare i Magiari e costringerli a una battaglia campale, una tattica che solitamente evitavano di fronte alla più pesante cavalleria tedesca.

 

Come dicevo, la precedente incursione non aveva dato i frutti sperati, soprattutto perché le popolazioni colpite erano state in grado di proteggersi efficacemente dentro le proprie fortificazioni. Questa volta i capi magiari decisero di preparare un’armata più eterogenea, con un folto nucleo di fanteria e materiale per costruire grandi macchine d’assedio. Una novità che comportava notevoli rischi: la loro fanteria non sarebbe mai stata all’altezza di quella tedesca, e il trasporto delle macchine d’assedio avrebbe rallentato l’avanzata, riducendo l’effetto sorpresa. A peggiorare le cose violente tempeste avevano fatto straripare gli affluenti alpini del Danubio, riducendo la loro capacità di movimento attraverso la campagna allagata. Per scelta e destino, questa volta gli Ungari non avevano dalla loro l’elemento fondamentale delle incursioni: la mobilità.

 


L'invasione della Baviera

 

Gli inviati magiari si recarono a Magdeburgo, apparentemente per esprimere sostegno al re tedesco impegnato nella guerra civile. Rimasero per circa un mese, osservando con attenzione l'incertezza che ancora regnava tra i membri della corte reale, dopo la guerra civile terminata solo due mesi prima. Convinti che Ottone sarebbe stato riluttante a spostare la sua élite di Sassoni e Turingi in Baviera, temendo lo scoppio di un'altra ribellione, riferirono ai capi magiari che il momento era propizio per un'invasione.

 

I Magiari identificarono il loro obiettivo principale nella città di Augusta che si trovava sulla riva occidentale del fiume Lech, poco a sud della confluenza tra il Lech e il Wertach. Per secoli era stata un nodo commerciale fondamentale tra la Germania e l'Europa meridionale, ma al tempo era la meno fortificata delle principali città bavaresi. Le mura, danneggiate gravemente durante la recente guerra civile, erano prive di torri difensive a protezione delle porte, e il terreno in pendenza su cui sorgeva rendeva Augusta vulnerabile agli attacchi con macchine d'assedio.



 

A fine giugno, dopo il sicuro ritorno degli inviati nel bacino dei Carpazi, un esercito magiaro di 25.000 uomini, guidato dai capi Lel e Bulcsu, attraversò il fiume Enns il 1º luglio e si divise in diverse colonne ognuna con una propria direttrice. Le unità più veloci si diressero verso il fiume Iller, oltre il Lech, nel tentativo di confondere i tedeschi e far credere loro che l’invasione avrebbe toccato la Svevia e la Franconia. Nel frattempo, le colonne più lente, che trasportavano la fanteria e le macchine d’assedio, avanzavano in direzione di Augusta. Tra la metà e la fine di luglio, le colonne magiare devastarono sistematicamente le terre tra il Lech e l’Iller. I Magiari saccheggiavano senza pietà, seminando ancora una volta il terrore. Chi poteva rifugiarsi nelle città fortificate o nelle fortezze lo faceva, ma molti non riuscirono a sfuggire alle razzie dei barbari. Nel frattempo la fanteria e il treno d’assedio avanzavano lentamente attraverso la Baviera, percorrendo forse una decina di miglia al giorno.

 

Il 10 agosto 955, i guerrieri magiari attraversarono il fiume Lech vicino ad Augusta. Prima di ritirarsi sul Lech alla fine di luglio, il comandante dell'avanguardia magiara aveva infiltrato una spia tra le fila tedesche per monitorare i movimenti dell’esercito di Ottone e avvertire i magiari del suo arrivo imminente. Il traditore, Bertoldo, si stabilì a Reisensburg, un villaggio situato lungo l'antica strada romana tra Ulma e Augusta, a sud del Danubio. Se Bertoldo fosse riuscito a fornire informazioni precise sulla direzione e i tempi dell'avanzata di Ottone, i Magiari avrebbero potuto organizzare un'imboscata efficace.

 

L’arrivo di Ottone

 

Poco dopo la sconfitta dei ribelli, Ottone ricevette un messaggio urgente da suo fratello, il duca Enrico di Baviera, che diceva: "Attenzione, le bande di guerra ungheresi, che si aprono a ventaglio, hanno attaccato attraverso le vostre frontiere".

 

Il primo ordine del giorno di Ottone fu quello di redigere dispacci che richiedevano assistenza militare ai suoi nobili e vescovi e anche agli alleati chiave, come il duca Boleslav di Boemia, sovrano di un principato che si trovava al di fuori del regno dei Franchi orientali. Una volta fatto ciò, Ottone guidò la sua guardia, composta da un migliaio di cavalieri Sassoni e Turingi, a sud per unire le forze con altre truppe che si stavano radunando. Ottone avrebbe potuto portare con sé una forza maggiore, ma lasciò dietro di sé un esercito considerevole per sorvegliare i sempre irrequieti slavi (contro i quali progettava una campagna, poi rimandata per l’emergenza ungara) e prevenire un vuoto di potere in Sassonia.

 

Ottone arrivò a Ulm, a circa due giorni di marcia da Augusta, alla fine di luglio. La città, situata sulla riva settentrionale del Danubio, aveva un grande palazzo e una fortezza che la rendevano una base operativa adeguata. Il re schierò i bavaresi e gli svevi a guardia dei punti di attraversamento dell'alto Danubio sopra Ulma. A sud della città, invece, il fiume era troppo largo perché un esercito potesse attraversarlo senza traghetti.

 



All'inizio di agosto, dopo che i magiari si erano ritirati nella pianura di Lechfeld sotto Augusta, gli esploratori di Ottone capirono che Augusta era il vero obiettivo dei magiari e che il corpo principale delle forze nemiche intendeva combattere contro l'esercito di soccorso di Ottone sul Lechfeld. Il re non si tirò indietro e diede ordine all’esercito di mettersi in marcia. In quel momento, Ottone aveva 8.000 uomini sotto il suo comando organizzati in otto battaglie (suddivisione operativa in uso nel periodo medievale): tre dalla Baviera, due dalla Svevia, una dalla Franconia, una dalla Boemia e la sua dalla Sassonia e dalla Turingia. La schiera francone consisteva quasi interamente di cavalleria pesante veterana guidata da Corrado il Rosso, che aveva accettato di sostenere Ottone nelle future campagne.

 

La marcia di Ottone

 

Le città di Ulm, Donauwörth e Augusta formavano un triangolo strategico al confine tra Svevia e Baviera: Ulm a sud-ovest, Augusta a sud-est e Donauwörth al vertice settentrionale. I Magiari contavano sul fatto che Ottone avrebbe seguito una via prevedibile, marciando da Ulm verso nord-est fino a Donauwörth, per poi virare a sud in direzione di Augusta. Se il re tedesco avesse scelto questo percorso, i Magiari erano convinti di poterlo intercettare e sopraffare nell'ampia pianura del Lechfeld, un terreno aperto favorevole alle tattiche di cavalleria leggera che padroneggiavano

 

Ma Ottone era consapevole di questo pericolo. Anziché dirigersi verso Donauwörth, attraversò il Danubio a sud l'8 agosto, conducendo il suo esercito verso est lungo l'antica strada romana che collegava Ulm ad Augusta, passando per Reisensburg. La colonna tedesca avanzò per circa 15 miglia e raggiunse Reisensburg nel tardo pomeriggio, accampandosi appena oltre la città. Il giorno successivo, continuò la marcia verso est, arrivando a Horgau, dove si fermarono per la notte. Horgau si trovava ai margini occidentali di una fitta foresta conosciuta come Rauherforst. A quel punto, Ottone e il suo esercito erano a un giorno di marcia da Augusta.

 

Ottone aveva intenzione di far avanzare le sue truppe lungo la stretta strada romana che attraversava il Rauherforst, valutando la situazione tattica una volta usciti dalla foresta. Era convinto che il fitto bosco avrebbe protetto il suo esercito dai raid veloci dei Magiari, permettendogli di avvicinarsi abbastanza ad Augusta da forzarli in uno scontro ravvicinato, dove le sue truppe, meglio armate, avrebbero avuto il vantaggio. Anche se non privo di rischi, questo percorso era decisamente più sicuro rispetto a una marcia esposta lungo il Lechfeld, che avrebbe lasciato le sue forze vulnerabili agli attacchi nemici.

 

Augusta sotto assedio

 

Quando il grosso dell'esercito magiaro, composto da cavalleria leggera, fanteria e macchine d'assedio, aveva raggiunto Augusta alla fine di luglio, si era accampato sulla riva orientale del Lech, a circa tre miglia a sud-est della città del vescovo Ulrico. I comandanti magiari avevano scelto quel sito perché ritenevano che fosse al sicuro da eventuali attacchi da parte di Ulrico. Il vescovo disponeva di un discreto numero di truppe professioniste all'interno delle mura cittadine, e se i Magiari si fossero accampati troppo vicino, avrebbe potuto approfittarne e lanciare continui attacchi.

Determinati a conquistare Augusta, i Magiari evitarono deliberatamente altre città e roccaforti lungo il percorso, il che permise alle forze locali di riappropriarsi rapidamente delle strade e degli attraversamenti fluviali una volta che l'esercito magiaro era passato. Tuttavia, questa scelta strategica comportava un rischio elevato: in caso di sconfitta, i Magiari avrebbero dovuto affrontare una forte resistenza nel tentativo di ritirarsi lungo la stessa strada.

 


Imboscata ai boemi

 

La mattina seguente, il traditore Bertoldo giunse all'accampamento magiaro con la notizia che Ottone stava avanzando da Ulma con un esercito di soccorso. I Magiari, immediatamente allertati, abbandonarono temporaneamente l'assedio di Augusta per concentrarsi sull'esercito di Ottone. Così presi dal desiderio di sconfiggere il sovrano tedesco, i comandanti magiari non lasciarono nemmeno un piccolo contingente per sorvegliare la guarnigione della città. Questo errore consentì al fratello di Ulrico, il conte Dietpald, di far uscire la maggior parte delle truppe cittadine per congiungerle all'esercito di Ottone.

 

I Magiari, abili nell'adattarsi alle mutevoli circostanze della campagna, elaborarono un astuto piano per tendere un'imboscata. Le loro truppe di cavalleria leggera, composte da veloci arcieri a cavallo, si diressero verso sud, costeggiando il Rauherforst, dove avrebbero atteso nascoste fino a quando l'esercito tedesco non fosse completamente entrato nella foresta. Una volta che l'ultima unità fosse nel folto della boscaglia, avrebbero attaccato la retroguardia tedesca, tagliando ogni via di ritirata. Nel frattempo, la forza principale magiara si preparava a colpire l'avanguardia tedesca una volta che fosse uscita dal lato ovest della foresta, impedendo all'esercito di schierarsi correttamente in linea di battaglia. Il piano era semplice ma efficace: intrappolare i tedeschi nella foresta, costringendoli a una fuga disorganizzata verso est, dove sarebbero stati annientati dagli arcieri magiari in agguato.

 

Nel pomeriggio del 9 agosto, i Magiari lasciarono il loro campo e si diressero verso le rispettive posizioni. L'unità incaricata dell'imboscata percorse cinque miglia verso ovest fino a una nuova postazione a sud del punto in cui la strada romana da Ulma ad Augusta attraversava il Rauherforst. Il viaggio richiese tempo, poiché dovettero attraversare i fiumi Lech e Wertach. Una volta giunti a destinazione, si nascosero tra le pieghe del terreno e dormirono accanto ai loro cavalli, pronti per l'azione del giorno successivo.

 

La mattina del 10 agosto, i Magiari attendevano impazienti l'avanzata dei tedeschi attraverso il Rauherforst. Mentre i soldati tedeschi iniziavano la loro marcia sotto un sole cocente, la parte avanzata e il corpo principale dell'esercito si inoltrarono presto nella foresta. Gli arcieri magiari, divisi in piccole bande, accerchiarono la retroguardia boema, separandola dagli Svevi che li precedevano. I Boemi vennero annientati e anche gli Svevi, che tentarono di correre in loro soccorso, furono battuti prima che potessero influire sull'esito della battaglia. I Magiari vittoriosi iniziarono a saccheggiare il treno bagagli alla ricerca di bottino. Convinti che l'esercito tedesco non avrebbe reagito ulteriormente, lasciarono incustodito l'ingresso ovest della foresta per concentrarsi sul tesoro appena conquistato. Questa mancanza di disciplina, impensabile sotto il comando dei loro antenati più rigorosi, si sarebbe rivelata decisiva.

 

Riscossa

 

Mentre il gruppo d'imboscata magiaro frugava tra i rifornimenti di Ottone, l'avanguardia tedesca stava già uscendo dal Rauherforst, sul lato orientale, e si preparava per la battaglia vicino al villaggio di Ottmarshausen, a breve distanza da Augusta. Un messaggero giunse portando la notizia della distruzione della retroguardia tedesca. Ottone e Corrado, che stavano dando ordini fianco a fianco in vista dello scontro imminente con l'esercito principale magiaro, ascoltarono attentamente il rapporto. Dopo una breve consultazione, Ottone diede istruzioni a Corrado: una volta che l'avanguardia e il corpo principale dell'esercito fossero usciti completamente dalla foresta, Corrado avrebbe dovuto guidare la sua cavalleria di Franconi indietro attraverso il Rauherforst, raggiungere il lato occidentale e radunare ciò che restava dei superstiti svevi per lanciare un contrattacco inaspettato contro i Magiari.

 

Corrado portò a termine il suo incarico in maniera efficiente. Alla vista della cavalleria pesante francone che avanzava con determinazione, i magiari furono colti dal panico. Infuriati per l'astuzia con cui i magiari avevano colpito, i cavalieri franconi li inseguirono con ferocia, abbattendo numerosi nemici prima che riuscissero a mettersi in salvo. Una volta respinti i nemici, Corrado ordinò ai suoi uomini di prepararsi a marciare di nuovo per ricongiungersi all'esercito di Ottone.

 



Gli eserciti si dispongono

 

A meno di un miglio di distanza dalle forze di Ottone, su un'altura dall'altro lato di un piccolo corso d'acqua chiamato Schmutter, l'esercito principale magiaro si schierava nella sua classica formazione a mezzaluna. Il terreno scelto dai magiari era perfetto, permettendo loro di massimizzare la potenza d'attacco contro il nemico in avvicinamento. I comandanti magiari posizionarono la fanteria al centro della formazione, per attirare la cavalleria pesante tedesca in una carica. L’intento era quello di circondare i cavalieri presi dalla foga dell’assalto e sterminarli dai fianchi. Per questo i capi magiari decisero di attendere la mossa dell’esercito tedesco invece di lanciare a loro volta un attacco le truppe di Ottone prima che si schierassero.

 

Ottone schierò la cavalleria di Corrado, stanca dopo aver sconfitto il gruppo d'imboscata magiaro, sul fianco sinistro, protetta da una parete rocciosa. Al centro, dispose i resti delle due battaglie sveve e delle tre bavaresi, per un totale di circa 4.000 lancieri. Il fianco destro fu affidato alla cavalleria sassone-turingia.

 

Come sperato dai magiari, fu la fanteria tedesca a guidare l'attacco. Tuttavia, Ottone aveva pianificato di far attaccare simultaneamente la cavalleria sul fianco sinistro dei magiari, rendendo così l'attacco un'operazione congiunta. Ottone ordinò a Corrado di tenere la sua cavalleria fuori dalla portata delle frecce nemiche, facendo però una dimostrazione di forza sufficiente a convincere i magiari che una carica sul loro fianco destro fosse imminente. Questo avrebbe impedito ai magiari di spostare forze per sostenere il centro o il fianco sinistro.

 

I due attacchi sui fianchi della cavalleria tedesca – il finto assalto di Corrado e il vero attacco di Ottone – avevano lo scopo di appiattire le ali della mezzaluna nemica, trasformandola in una linea di battaglia rettilinea, impedendo di fatto l’accerchiamento del centro tedesco.

 

La battaglia di Lechfeld


Nel caldo offocante del pomeriggio, la fanteria pesante tedesca avanzò in formazione serrata contro la meno esperta fanteria magiara. La battaglia corpo a corpo si accese rapidamente, e i tedeschi riuscirono, in pochi minuti, a decimare gran parte dei nemici, che si dispersero in preda al panico. Nel frattempo, gli arcieri a cavallo magiari, temendo una carica della cavalleria tedesca sui loro fianchi, non poterono o non vollero soccorrere i propri fanti.



Quando la fanteria tedesca aprì il varco, Ottone ordinò l'avanzata della sua cavalleria pesante. Il terreno tremava sotto gli zoccoli dei cavalli mentre i cavalieri sassoni e turingi, freschi e pronti al combattimento, si lanciavano verso il fianco sinistro magiaro. Dopo alcuni lanci di frecce, i cavalieri magiari si voltarono e fuggirono verso est. Sul fianco opposto, Corrado, osservando la ritirata del nemico al centro e a sinistra, ordinò alla cavalleria francone di completare la manovra. Con la stessa furia con cui avevano abbattuto il gruppo d’imboscata, i franconi si gettarono all’inseguimento dei nemici, abbattendone molti.


Il fianco destro dei magiari, ormai circondato, non aveva vie di fuga. La cavalleria di Ottone, dopo aver disperso il fianco sinistro, chiuse la strada ai magiari che cercavano di sfuggire. Una carneficina si consumò sotto la scogliera che sovrastava il fianco destro magiaro, dove i cavalieri intrappolati tra due gruppi di cavalleria tedesca furono massacrati. La fanteria magiara, di scarsissima qualità, non ebbe alcuna speranza di sfuggire e grande fu il massacro.

In meno di due ore, la cavalleria tedesca aveva annientato il fianco destro nemico. Il campo di battaglia era disseminato di corpi, una testimonianza della ferocia dello scontro e della riluttanza a fare prigionieri. Tuttavia, proprio quando la battaglia stava finendo, un singolo arciere magiaro mise a segno un lancio che offuscò la gloria di quel giorno. Corrado, avendo sganciato la ventaglia del suo camaglio per rinfrescarsi, fu colpito alla gola da quella freccia. Cadde da cavallo, ucciso sul colpo.

Mentre la cavalleria tedesca avanzava verso nord, il fianco sinistro magiaro riuscì a ritirarsi in buon ordine verso est, sperando di attirare i tedeschi in un’imboscata. Ma Ottone, ben consapevole della loro tattica di finta ritirata, preferì non inseguirli.


La caccia ai Magiari


Quella sera, un violento temporale attraversò la regione, gonfiando i fiumi alpini. Il giorno seguente, gli affluenti del Danubio, come il Lech, l'Isar, l'Inn e l'Enns, diventarono pericolosi da attraversare. La mattina dell'11 agosto, Ottone inviò messaggeri a est del Lech, ordinando alle forze locali di uccidere i magiari in ritirata per impedirne il ritorno l’anno successivo. Fece inoltre appello al duca Boleslav, che guidava una legione boema a Ratisbona, e ai nobili della Carinzia, chiedendo loro di intercettare e distruggere i magiari in fuga.


I magiari, nel tentativo di ritirarsi verso il bacino dei Carpazi, dovettero affrontare numerosi attraversamenti fluviali, ma trovarono le vie bloccate da forze boeme, carinziane e bavaresi. Il pesante acquazzone della notte precedente siglò il loro destino. Un grande gruppo di magiari, tentando di guadare l'Isar vicino a Frisinga, fu attaccato dalle truppe locali e boeme e completamente annientato.


La vendetta dei tedeschi sui magiari fu brutale. Pochi predoni riuscirono a sfuggire, e i nobili magiari catturati, tra cui i capi Lel e Bulcsu, furono impiccati a Ratisbona. La maggior parte dell’esercito magiaro fu distrutta.


Conseguenze della battaglia


La sconfitta magiara del 955 gettò le basi per importanti cambiamenti politici e religiosi negli anni a seguire per i popoli del bacino dei Carpazi. La vittoria tedesca a Lechfeld segnò l’inizio della fine della politica di incursioni e saccheggio che aveva caratterizzato il principato ungaro (ossia l’entità statale di quel popolo durante la trasformazione da nomade a stabile). I magiari persero così tanti veterani nella campagna del 955 che qualcosa si spezzò definitivamente nel profondo della loro società, incrinando in maniera definitiva la loro spinta alle grandi incursioni. L’Impero Romano orientale, che aveva pagato un tributo per decenni onde evitare le sistematiche incursioni magiare, dopo la battaglia di Lechfeld smise di farlo. I Romeni subirono alcune incursioni, fino al 970 d.C. ma non vennero più minacciati con la stessa gravità degli anni precedenti. Alla fine del millennio, sotto il re Stefano I, era nato il Regno d'Ungheria e la maggior parte del suo popolo aveva abbracciato il cristianesimo. Gli storici pongono questo momento come limite ultimo della profonda cesura generatasi dalla sconfitta, con il mutamento sociale, economico e politico che segnò la fine del vecchio sistema di valori nomadi e predatori.


La biografia minima utilizzata per questo articolo

  1. Germania, Enrico I e Ottone il Grande di Austin Lane Poole

  2. The Battle on the Lechfeld, 10 August 955 di Hans Delbrück

  3. The Carolingians: A Family Who Forged Europe di Pierre Riché

  4. From the beginnings until 1301. A Concise History of Hungary di Miklós Molnár Scopri il periodo delle ultime invasioni con la raccolta di racconti storici

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