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Jinetes. La cavalleria della Reconquista

Aggiornamento: 20 ott 2022



Cavaliere reconquista spagnola, medioevo centrale

Le guerre della Reconquista, lo scontro durato secoli tra cristiani e musulmani per il controllo della penisola iberica, sono state caratterizzate da due elementi peculiari. Il primo è tuttora una caratteristica del paese e riguarda il clima e la geografia. La maggior parte della Spagna è dominata da elevati pianori e montagne che rendono l’agricoltura e l’allevamento difficoltosi. Il clima è prevalentemente secco nella parte centrale del paese e sottoposto alle variazioni oceaniche in quella nordoccidentale, e si alterna tra estati prolungate, molto calde, e inverni rigidi. L’altro fattore caratterizzante era la scarsissima popolazione delle zone di frontiera tra i vari regni e potentati, sia cristiani che musulmani. La vasta area attraversata dal fiume Doure, il terzo più lungo della penisola, l’alta valle dell’Ebro, detta la Rioja e la parte centrale della Catalogna erano spopolate. Non c’erano i presupposti per organizzare sostanziali attacchi e solide difese. In primis per la mancanza di uomini da poter impiegare ma anche i problemi logistici non erano da meno, dato che foraggiare un esercito in quelle aree abbandonato e improduttive sarebbe divenuta un’impresa al pari dello scontro con i nemici, se mai si fosse venuti a contatto.

Il risultato fu che la guerra di frontiera, mai interrotta nel corso dei secoli, fu condotta soprattutto tramite l’impiego di minuscole formazioni di fanti e cavalieri armati per lo più alla leggera. La battaglia campale, spesso risolutiva, tipica delle guerre “feudali” dell’Europa cristiana non era usuale. Razzie, incursioni, imboscate e contrattacchi costituivano i mezzi attraversi i quali si combatteva la guerra per la penisola iberica. In un simile contesto una forza di cavalleria professionale dalle peculiari caratteristiche si impose tra gli schieramenti di tutte le fazioni in campo. Non mancavano, certo, uomini di estrazione nobiliare capaci di combattere con lancia, scudo e armatura pesante in tutto simili ai cavalieri pesanti del resto della cristianità. Essi erano detti caballeros hidalgos e i loro seguaci, i masnadieri che ne formavano i conroi, erano conosciuti come caballeros armados. Erano comunque pochi e scarsamente utili in questo tipo di guerra continua e quasi sempre priva di penetranti offensive nel cuore del territorio avversario così come di battaglie decisive. La mobilità del combattente a cavallo rimaneva, però, imprescindibile. Fu una terza categoria di guerrieri montati a svolgere il ruolo predominante. Alcune cronache chiamano i suoi appartenenti caballeros villanos ma sono ancora oggi meglio identificati dal termine Jinetes.


La parola deriva dalla popolazione berbera degli Izanaten, abilissimi cavalieri al punto che proprio tramite loro si finì per identificare, ancora oggi, un uomo di indubbie capacità in sella ai focosi cavalli arabi. Dal X secolo essi furono alleati del Califfato omayyade di Al Andalus e ne seguirono le vicende sia nel Marocco conteso alle altre tribù, sia nella Spagna del conflitto con i regni cristiani.

A giudicare da come si diffuse il loro nome, passando dal definire un’etnia a distinguere una tipologia di combattente su entrambi i fronti, essi furono i primi a distinguersi nella particolare guerra di scorrerie, colpi di mano e rapide ritirate che si combatté per secoli alle frontiere. La loro tattica era basata sulla velocità e per questo non si coprivano di armature. Unica protezione, uno scudo di legno rivestito di pelle. Erano armati di giavellotti, con i quali colpivano lanciandone una salva dopo l’altra rimanendo in sella, dileguandosi poi prima che le forze nemiche potessero arrivare in contatto. Per contrastare questo nemico i cristiani di Spagna non tardarono a copiarne l’utilizzo, mettendo in campo sin dagli inizi della Reconquista una cavalleria leggera capace di combattere “il fuoco con il fuoco”. Non disdegnarono nemmeno il termine con cui, tra i Mori, venivano chiamati tutti i cavalleggeri al servizio del califfato. Agli Izanaten i cristiani contrapposero gli Jinetes (Genets in Catalogna e Genetes in Portogallo)


Reclutamento

Quattro erano i bacini di reclutamento principali per la cavalleria di Jinetes.

Dalle milizie urbane, dovute ai regnanti in base a decreti ben precisi, facilitati dal persistente stato di guerra. Tra queste forze vi erano, oltre a cavalieri in armatura e fanti di varie tipologie, anche degli uomini a cavallo armati alla leggera.

Dagli Ordini militari di Alcantara, Calatrava, Santiago e Montesa. Questi fornivano in prevalenza cavalieri pesanti ma un’aliquota di Jinetes è sempre stata presente. Le necessità di quella lotta rendevano imprescindibile averne.

Dalle masnade dei nobili, i quali, soprattutto quelli proprietari di feudi a ridosso delle “terre di nessuno”, avevano dovuto assoldare, in alcuni casi accasare, uomini adatti a combattere le incursioni musulmane con le stesse armi.


Dai contingenti stranieri, anche se in misura minore perché spesso i volontari provenienti da altre parti dell’Europa cristiana non combattevano sufficientemente a lungo da comprendere i vantaggi della riduzione del peso delle armature in favore della mobilità. Alcuni, però, come gli uomini di Faido Lama Nera presentati nel romanzo La guerra di Guibert, comprendevano il potenziale di un simile modo di combattere e vi si adattavano divenendo una cavalleria che potremmo definire media, perché non abbandonarono mai del tutto le protezioni individuali.


Equipaggiamento



Nonostante il loro ruolo principale non fosse quello di impegnare frontalmente il nemico, le formazioni di cavalleria leggera presero parte attiva anche a scontri campali di una certa vastità come a Salado nel 1340 e Higueruela del 1431. In questi casi combatterono riuniti in squadroni di circa cinquanta elementi, fiancheggiando le formazioni nemiche per portare scompiglio con il lancio di giavellotti e attaccando unità isolate per impedire il ricambio dei combattenti di prima linea con forze più fresche. Il loro ruolo tattico era di aggirare gli avversari, tormentandoli fino a spezzarne il morale e la coesione così che le forze più pesanti potessero caricare con successo. Per fare questo, come abbiamo detto, era necessario un equipaggiamento leggero anche se i Jinetes, a differenza della loro controparte moresca, non disdegnarono l’utilizzo di elmi leggeri, i celebri capillos utilizzati anche dagli almogavari, altri famosi guerrieri della penisola. Indossavano anche gambeson e protezioni per le gambe, come si può notare nell’affresco del Monastero Reale di San Lorenzo de El Escorial a Madrid.

Lo scudo era chiamato adarga, fatto sovrapponendo più strati di cuoio di vari animali per garantire compattezza ed elasticità, per assorbire i colpi senza cedere, distribuendo l’urto lungo tutta la superfice. Si trattava di uno scudo piccolo, solitamente tra i settanta e gli ottanta centimetri di diametro.


L’arma principale era il dardo, un giavellotto lungo un metro e venticinque centimetri. Ne portavano almeno due sempre con sé e altri pronti viaggiavano su muli e animali da soma mai troppo distanti dal gruppo. Con il tempo si aggiunse una lancia, più corta di quelle dei milites professionisti, detta lanza gineta, polivalente nell’utilizzo sia come arma da getto che per affondi in eventuali scontri corpo a corpo.


Dagli scontri mordi e fuggi lungo le frontiere, alle grandi battaglie campali, i guerrieri leggeri giocarono un ruolo decisivo nella Reconquista fino al sedicesimo secolo, quando evolsero e si adattarono con efficienza ai nuovi ruoli imposti alla cavalleria dalla rivoluzione dell’arte bellica dell’Età moderna.




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