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I "vichinghi" alle porte! L'assedio di Parigi del 885 d.C.


L'assedio danese di Parigi, nell'anno 885 d.C., ci è stato raccontato da un testimone oculare d'eccezione: Abbone di San Germano, anche conosciuto come Abbone il Curvo. Un uomo di chiesa, monaco benedettino e sufficientemente erudito da poter comporre un poema epico, in esametri, sull'evento: il De bellis Parisiacae urbis.


Ricco di rimandi classici, soprattutto a Virgilio, l’opera ha un grande valore artistico e una valenza storica non del tutto offuscata dal misticismo di cui è comunque pregna. Alcuni dettagli prettamente bellici sono così precisi e plausibili che sembra davvero certo che Abbone fosse stato presente non solo ai fatti ma fin quasi sugli spalti. Le immagini che ci fornisce sono vivide, coerenti, drammatiche.


Inoltre, Abbone ha il grande merito di nominare molti difensori comuni, non solo nobilissimi guerrieri. Lo fa in chiave escatologica, spesso, ma non per questo priva di valore oggettivo. La morte dei dodici difensori della torre a difesa del Petit Pont per esempio, è raccontata con dovizia di dettagli plausibili pur nella costruzione mitica della vicenda. Riporta i loro nomi, mettendo il popolano al fianco del nobile, affratellati dal cameratismo e dalla morte.


Nel libro I, vv 520-575, i dodici (come i paladini, come gli apostoli) difendono la torre con tale forza che l'unico modo per stanarli fu di accostare un carro pieno di paglia e sterpaglie alla base della fortificazione.


La scena descritta da Abbone si svolge nel febbraio dell’anno 886. La Senna, nella notte tra il 5 e il 6, ha rotto i suoi argini a causa di una piena. Il Piccolo Ponte è crollato e i difensori della torre posta sulla sponda opposta sono adesso isolati. All’epoca, infatti, la città di Parigi era racchiusa entro i limiti dell’ Île de la Cité, l’isola fluviale dove oggi sorge, per esempio, Notre Dame. Due ponti la collegavano alla terraferma, denominati Grande e Piccolo.


Ecco la viva voce di Abbone, tradotta dalla filologa Donatella Manzoni


I cittadini, pur volendo, non riescono a soccorrere la torre, né ad aiutare i guerrieri ansimanti nella mischia: sono dodici e si battono da prodi incuranti delle spade spaventose dei danesi. È difficile raccontare lo scontro ma ecco i loro nomi: Ermenfredo, Eriveo, Erilando, Odoacre, Ervico, Arnoldo, Solio, Gosberto, Guido, Ardrado, Egimardo e Gozzino. Poiché i dodici non possono essere piegati da quelle anime nere, gli scellerati pongono davanti alle porte della povera torre un carro pieno di paglia e di sterpaglie in fiamme

[…]

Avevano a disposizione solo un piccolo recipiente che, mentre gettavano l’acqua chiara della Senna sulle alte fiamme, cadde nel fiume, sfuggita dalle mani. L’incendio si innalzò sopra la torre e la fece crollare tutta. I dodici abbandonano la torre e raggiungono l’estremità di quel che resta del ponte. Lì ingaggiano nuovi e spietati scontri contro i feroci nemici. Giavellotti, pietre e frecce scagliava il popolo nemico di Dio, ma poiché questo attacco non riusciva a sopraffare i dodici, i Danesi si misero a urlare un inganno: “Non temete, uomini, venite da noi, state tranquilli.

Oh dolore! I nostri credono a queste parole bugiarde, sperando di potersi riscattare al prezzo di una somma consistente; altrimenti mai quel giorno sarebbero stati catturati. Inermi si piegano alla spada di quella gente truculenta e in un mare di sangue rendono le loro anime al Cielo.


Queste la parole di Abbone sulla sorte dei dodici guerrieri i cui nomi sono giunti fino a noi. Da segnalare il coraggio di Eriveo, uno dei più giovani tra i prigionieri: scambiato dai Danesi per un principe data la sua bellezza e il portamento gli venne richiesto di pagare un riscatto in cambio della vita, immaginando potesse essere cospicuo. Il ragazzo si rifiutò di accettare la resa, perché la sorte dei suoi compagni gli rendeva odioso sopravvivere loro pagando per la propria vita. Venne ucciso il giorno dopo.



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