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Immagine del redattoreGiovanni Melappioni

Cavalieri, a terra! La tattica di far combattere a piedi la cavalleria.

Aggiornamento: 4 dic 2021


Una delle più straordinarie caratteristiche delle genti che dai paesi scandinavi si gettarono alla conquista dell'Europa medievale fu la capacità di rendersi permeabili alla cultura dei popoli che incontravano, anche quelli con i quali si scontravano. Ogni volta che una miglioria strategica o tattica era riconosciuta come tale non c'era tradizione o testardaggine che tenesse, essa veniva immediatamente assorbita e fatta propria.


Così i "vichinghi" di Normandia divennero i migliori cavalieri pesanti della loro epoca nel giro di una settantina di anni. E quando essi si spostarono verso altre terre, come il Sud d'Italia o il Medio Oriente, dimostrarono la stessa capacità di adattamento e crescita dei loro predecessori.


I normanni che seguirono Guglielmo il Bastardo alla conquista del regno d'Inghilterra non furono da meno, anche se questa parte della loro storia non viene quasi mai ricollegata a quanto accadrà secoli dopo, durante il periodo della Guerra dei Cent'anni (1337-1453) quando le caratteristiche degli eserciti inglesi impegnati sul suolo di Francia divennero così peculiari che ancora oggi si utilizza quel periodo per dare l'estrema unzione alla cavalleria medievale in favore della fanteria.



Si tratta di una semplificazione fin troppo comoda, perché la cavalleria non verrà messa davvero in discussione fino a un secolo dopo la conclusione della guerra fra Inghilterra e Francia. E, soprattutto, perché non è proprio del tutto esatto immaginare l'esercito inglese, giunto alle porte del quattordicesimo secolo, cambiare improvvisamente tattica e combattere a piedi. L'evoluzione militare anglo-normanna aveva già fatto propria la solidità delle armate anglosassoni appiedate. Nonostante la vittoria di Hastings, una vittoria della cavalleria.

La collaborazione fra fanti e cavalieri, nel periodo compreso fra il X e il XIII secolo, svilita in molti testi di larga diffusione, era un dato di fatto nelle armate dei re anglo-normanni. Ecco alcuni affascinanti esempi.

28 settembre 1106, Tinchebrai, Normandia 

Enrico I, re d'Inghilterra, e suo fratello Roberto detto il Cortacoscia, duca di Normandia, erano infine giunti al confronto finale dopo anni di continui attriti, cospirazioni, invasioni dei reciproci possedimenti e quant'altro. Le loro armate erano divise nelle tre tradizionali "battaglie", formazioni che oggi chiameremmo battaglioni, ma Enrico aveva inviato uno dei suoi più fedeli alleati su suolo di Francia, Elia del Maine (Ilil conte Helia di Forgiati dalla spada e Temprati dal destino) con un forte contingente di cavalieri franchi e bretoni, dietro alcune alture, dove avrebbero dovuto attendere l'inizio della battaglia prima di scendere in campo a loro volta. Il resto del suo esercito, dovendo fare da incudine contro la quale trattenere le forze del duca Roberto, fu fatto smontare da cavallo e si schierò in un lungo muro di scudi e lance. La battaglia durò meno di un'ora. Vi fu una sola carica, quella di Roberto e dei suoi alleati, che non riuscì a infrangere le difese di Enrico. All'arrivo di Elia a chiudere in una morsa i nemici non ci fu più alcuna speranza di vittoria per Roberto che si arrese e venne preso prigioniero.


20 agosto 1119, Bremule, Francia

Il ducato di Normandia fu di nuovo teatro di scontri per re Enrico I d'Inghilterra. Due candidati alla carica di duca si erano affacciati sulla scena politica: Guglielmo Adelin supportato dagli anglo-normanni e Guglielmo Clito favorito dal re di Francia Luigi VI il Grasso. Le operazioni in realtà non furono mai su larga scala, le forze in campo erano ridotte per lo più ai guerrieri alle dirette dipendenze dei due re e alle masnade di questi. La battaglia di Bremule avvenne per puro caso, quando le due formazioni si incontrarono nei pressi del villaggio agricolo che diede il nome allo scontro. Enrico adottò una tattica particolare. Fece smontare da cavallo quasi tutti i suoi uomini, mantenendone in sella una percentuale piccolissima. Questi, sicuramente fra i più giovani e scalmanati, si disposero all'avanguardia. Dietro di loro il resto degli armati si schierò in due battaglie non affiancate ma una di fronte all'altra. L'esiguità di spazio aveva costretto anche re Luigi a far schierare le sue battaglie in colonna ma nessuno dei suoi uomini scese da cavallo.

In basso la formazione di Enrico I dopo il primo scontro vinto. Al centro dell'immagine la battaglia fra gli schieramenti centrali, in alto la terza formazione al comando diretto di Luigi VI di Francia.

Il primo scontro vide la sconfitta dell'avanguardia anglo-normanna per mano della formazione di testa dei francesi. Questi, baldanzosi, si gettarono scompaginati contro gli uomini a piedi di Enrico solo per venire sonoramente battuti e presi quasi tutti prigionieri. L'avanguardia inglese si riformò e tornò alla carica, facendo scattare la contromossa della seconda formazione francese. Di nuovo gli uomini a cavallo di Enrico si ritirarono conducendo i francesi in una sgangherata carica a passo d'uomo contro la massa appiedata del re d'Inghilterra. Anche questi furono sconfitti. Rimaneva solo la terza formazione a re Luigi VI, che decise per una precipitosa fuga. Secondo l'abate Sugerio sfuggì alla cattura solo per un soffio, nascosto da alcuni contadini locali. 

Sebbene le fonti non siano d'aiuto, viene da pensare che la forza posta da Enrico in avanguardia non avesse altro compito che quello di scompaginare i conrois di cavalieri francesi, mentre la scelta di far combattere a piedi i suoi si rivelò fondamentale per mantenere la coesione necessaria alla piccola armata.


Tipico Conroi. Davanti i cavalieri più equipaggiati, dietro sergenti e uomini d'arme meno pesanti. In fondo servi e scudieri con i cavalli di riserva dei loro signori. Spesso portavano anche armamenti e scudi per sostituire quelli danneggiati.

22 agosto 1138, Battaglia dello Stendardo, Northallerton, Yorkshire Inghilterra

Ah, gli scozzesi. Quanto sarebbe stata noiosa l'Inghilterra medievale senza di loro? Re Davide I di Scozia guidò nel 1138 una forza di invasione a sud del suo regno. I suoi uomini saccheggiarono e bruciarono villaggi nella migliore tradizione della guerra medievale ma furono intercettati da una forza eterogenea di anglo-normanni guidata da Guglielmo Aumale, detto il Grosso. Confidando nella fitta nebbia, re Davide ordinò una carica generale, diretta contro gli stendardi inglesi, unica cosa – dicono le solitamente esagerate cronache – che si riuscisse a scorgere nella bruma da cui il nome della battaglia. Il comandante inglese però sapeva, dai negoziati avuti in precedenza, che la forza scozzese era per lo più formata più da scorridori giunti per saccheggiare che da professionisti della guerra. Ancora una volta ordinò un comandante anglo-normanno puntò sulla fanteria per vincere uno scontro. Dispose i suoi arcieri in prima linea, supportati da una robusta formazione di lancieri. Il fitto lancio, contro cui le semplici vesti degli scozzesi poco o nulla potevano, decimò le forze di re Davide che iniziarono a vacillare senza quasi essere giunte i a menare le mani (sembra un'antesignana di Culloden). Enrico, il figlio di Davide, guidò un'ardimentosa carica che si aprì un varco in una delle battaglie ma, perso lo slancio e senza la possibilità di riformarsi a causa della scarsa visibilità, fu del tutto inefficace ai fini della giornata. Gli scozzesi fuggirono e non mancò il classico fiume da attraversare nel panico a completamento della disfatta. Fu una strage.


Non mancarono, ovviamente, le cariche di cavalleria sconclusionate, come a Bannockburn nel 1314, ma anche allora le forze a piedi avevano dei ruoli che andavano ben oltre il mero supporto, mostrandosi efficienti e valide nella cooperazione con i signori della guerra. Chapeau, dunque, ai normanni d'Inghilterra e alla loro incredibile duttilità.



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